Circa quattro mesi dopo il compimento della mia vendetta, mi ritrovai a North City in una gelida giornata nevosa.
Due giorni prima mi ero recata da Asako, la vecchietta diventata celebre specialmente nella malavita di Amestris per le taglie generose che offriva a chi catturava alcuni malviventi a suo nome. La nonnina mi aveva affidato la cattura di un'Alchimista Ribelle come me, una certa Nadie, famosa come The Bones Alchemist. Durante i miei due anni di permanenza nell'Esercito la sentii a malapena nominare, forse aveva lavorato principalmente a nord e a ovest del paese.
Asako mi aveva detto di cercarla nei sotterranei di North City. Quella Nadie lavorava per un boss di una banda di criminali super organizzati, gli faceva da guardia del corpo. Pur di avere soldi mi sarei fatta anche ammazzare.
Raggiunta la città, non ci misi molto ad aprire un tombino della piazza centrale, in strada a causa del tempo non c'era anima viva.
Indossavo solemente il mio
vestito preferito, aderente e pratico per combattere, e sopra un grosso mantello di lana che mi avvolgeva tutta, coprendomi anche il capo e lasciando fuori solo gli occhi. Persino la mia meravigliosa
scimitarra, attaccata alla mia schiena, era ben nascosta.
Scesi le scale a pioli arrugginiti che mi condussero in quei tunnel male illuminati, fortunatamente mi ero portata dietro una lanterna. La accesi e iniziai a vagare, alla ricerca di un rumore particolare, o di un vociare anomalo.
Proseguii per almeno due chilometri lungo quel tunnel sempre uguale, finchè non vidi delle scale in cemento armato alla mia destra. Non si vedeva la fine di quella ripida scalinata, da cui veniva un orribile odore di umidità, chiuso e...morte.
Iniziai a scendere silenziosamente gli scalini, tenendo ben alta la lanterna e sentendo il suono lieve dell'acqua che schizzava al mio passaggio.
All'improvviso, udii chiaramente un respiro affannoso e dei leggeri mugolii. Portai la mano libera alla spada e scesi lentamente ancora qualche gradino, prima che la mia lampada facesse luce sul viso imbrattato di sangue di un bambino, con la testa appoggiata alla sudicia parete.
A quella macabra visione, discesi più velocemente verso il povero innocente e mi avvicinai a lui che delirava, biascicando parole incomprensibili e fissando il vuoto.
Continuando a fare luce con la lanterna, vidi che al bambino erano da poco state mozzate entrambe le gambe e perdeva moltissimo sangue. Sui due monconi giaceva in modo innaturale una testolina a cui erano stati strappati molti capelli. Il bambino stringeva il corpicino di quella che pareva una bimba, privata di ogni arto.
-
Mio Dio.- mormorai sconvolta. Mi inginocchiai vicino a quei corpicini martoriati ed ispezionai le ferite gravissime che riportavano. Entrambi avevano dei brutti graffi sulle braccia e sul petto e non indossavano nulla, nemmeno uno straccio. Erano nudi e congelati, il bambino tremava di freddo, pallido come un cencio, ma le sue guance erano molto rosse. Questi due segni di differenza rispetto alla bimba facevano capire che solo lui era vivo, ma chissà per quanto ancora lo sarebbe stato. E chissà da quanto tempo erano lì. Chi aveva potuto far questo a dei bambini indifesi? Perchè?
Il piccolo continuava a fissare il vuoto stringendosi a sè il corpo privo di vita della sua compagna. Lei aveva ancora gli occhi aperti, che fissavano inespressivi il soffitto.
Lui sembrò non notare nemmeno la mia presenza al suo fianco.
-
Vieni, ti porto via di qui.- gli mormorai, sporgendomi per prenderlo delicatamente tra le mie braccia, ma lui solo in quel momento portò i suoi occhi su di me. Un brivido mi corse lungo la spina dorsale. Erano di un azzurro così chiaro da fare impressione e l'iride era attorniata da tante venuzze rosse. Notai gli zigomi graffiati e rigati di lacrime secche e sangue.
-
Tu sei la nostra salvatrice?- sussurrò debolmente, con un sorriso appena accennato -
Salva la mia sorellina, te ne prego. Non pensare a me, salva lei, è così piccola... Ti prego. Mamma e papà hanno detto...hanno detto che devo proteggerla. Chinò il capo verso gli occhi vuoti della bambina, sorridendo amaramente e balbettando:-
Tamara... Tamara, svegliati. Qualcuno è venuto a salvarci, Tamara... Tamara, ti prego, reagisci...Andrà tutto bene, ci sono io con te...Continuò a ripetere quel nome, iniziando a singhiozzare lentamente, per poi riportare lo sguardo su di me.
-Ti prego, portala via di qui prima che...prima che torni
lei.- mugolò terrorizzato, stringendo più che poteva a sé il corpo di quella che era la sua sorellina. Aveva sì e no quattro anni. Povera creatura.
Allungai una mano e le chiusi dolcemente gli occhietti, poi presi entrambi faticosamente tra le braccia e iniziai a risalire le scale, con l'intenzione di ritornare in superficie.
Si chiamava Aadil Adam Andersen. La sua famiglia era di North City ed era stata torturata e trucidata da Nadie. Il signor Andersen non era riuscito a pagare i debiti all'uomo per cui l'Alchimista Ribelle lavorava e quindi era stato
punito.
Dopo aver riportato a casa Andersen il corpicino di Tamara ed averlo steso accanto a quelli massacrati dei genitori morti, chiamai anonimamente la polizia da una cabina telefonica. Prima che arrivassero gli sbirri mi dileguai e corsi verso il campo profughi che avevo trovato fuori città, dove avevo lasciato il bambino alle cure di un uomo che pareva il medico del posto.
Due mesi dopo, io e Adam ritornammo a Reole, dove c'era il campo profughi in cui vivevano i miei amici di Ishbar e che consideravo la mia "casa", il mio "punto di ritorno". Io stessa mi ero occupata di uccidere Nadie e con la sua taglia pagai l'operazione di Adam perchè gli venissero istallati degli automail.
Seguii la sua dolorosa riabilitazione per circa due anni e mezzo, gli insegnai l'Alchimia e l'Arte Rentan, lo nutrii, lo curai e gli diedi tutto l'amore che riuscivo a dare e che mai prima di allora avevo dimostrato per qualcun altro.
E delle silenziose lacrime di gioia mi bagnarono le labbra sorridenti quando una notte, abbracciandomi nel giaciglio umile su cui dormivamo, Adam mi sussurrò:-
Buonanotte, mamma.