La nebbia nel cuore

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Frey Nebord
view post Posted on 9/12/2008, 21:39




Il treno sfrecciava nell'aperta campagna, fendendo una lieve nebbia che accennava ad opporsi allo sguardo, seppure non con decisione. Gli unici due vagoni del treno diretto a North City avevano pochissimi passeggeri: un anziano signore semiaddormentato sul sedile, una signora elegante con il suo marmocchio di circa 8 anni seduto a fianco, una giovane ragazza bionda dall'aria simpatica e un ragazzo altrettanto giovane con l'espressione corrucciata. Frey, dal suo posto finestrino, non si curava degli altri presenti. Il suo sguardo era perso fuori dal treno. Fin dalla partenza era stato incuriosito dallo strano effetto creato dalla nebbia, che faceva individuare sagome non ben definite di alberi e case sfreccianti. Non si potevano vedere i dettagli, ovviamente, ma solo il concetto. Si capiva cos'era, e basta, non era dato sapere altro. Beh, ben presto Frey si rese conto che si sentiva allo stesso modo.
Aveva passato gli ultimi 3 giorni come un fuggiasco. Beh, no, forse definirlo fuggiasco era un'esagerazione, ma era così che si sentiva dentro. Aveva perso in pochi attimi quel che aveva accumulato in anni e anni di duro lavoro e di studio, e da allora si sentiva smarrito, perso, non sapeva che fare,d ove andare, dove sbattere la testa. Poteva camminare alla luce del sole, certo, ma il sentirsi continuamente come se avesse sulla testa un cartello con su scritto "Ricercato! Catturami e portami all'esercito se vuoi ricevere dei soldi!" non gli dava certo un senso di sicurezza. E ora, l'unica cosa che aveva di certo, era che non aveva più nulla. Che aveva perso la possibilità di scalare l'esercito, di diventare il più importante uomo militare che poteva esistere. Di diventare Comandante Supremo. Si era bruciato la sua unica possibilità, questo era il concetto che riusciva ad attraversare la nebbia di sentimenti contrastanti dentro di lui. Il come, il quando, il dove e il perchè rimanevano sfocati e indistinti, come cose lontane nel tempo e nello spazio, accadute chissà dove e chissà quando.
Eppure, se si concentrava un attimo, non gli risultava poi così difficile ricordare l'urlo straziante di suo padre, il cadavere del serpente, il sangue sparso ovunque sul pavimento...
Era successo tutto in un modo quasi istantaneo, come se la sua mente non avesse atteso altro per tutta la vita. Gli era bastato terminare quel tomo sulla trasmutazione umana per essere convinto di sapere tutto sull'argomento. E qualcosa era scattato nella sua mente. Doveva provare. Doveva verificare con i propri occhi, anzi, con la propria alchimia, se era fattibile quanto aveva letto. Nella sua testa, non importava altro. Ma su chi poteva provare? Di certo nessuno si sarebbe offerto di propria spontanea volontà mettendo un annuncio sul giornale! No, avrebbe dovuto usare la persuasione, o al massimo la forza. Scelse la seconda. E scelse suo padre.
Non aveva neppure avuto bisogno di pensarci poi tanto: nel giro di qualche minuto, era già sulla strada per casa sua, il tomo sottobraccio e una gran voglia di vendetta. Beh, definirla vendetta forse sarebbe stato improprio. Non era propriamente vendetta. Era desiderio di mostrare a colui che l'aveva ostacolato anche in quello che era il suo più grande sogno che sì, ce l'aveva fatta, non aveva avuto bisogno di lui, era diventato bravo, era diventato Alchimista di Stato, era chiamato The Stone-Cold Alchemist, era Tenente, era una figura di spicco, ricopriva un ruolo che era per pochi, un ruolo di cui andare orgogliosi, di cui suo padre stesso avrebbe dovuto essere orgoglioso, di cui qualunque padre avrebbe dovuto essere orgoglioso. E lui no. Alla sua promozione, nemmeno un telegramma di congratulazioni, nemmeno una lettera che gli diceva di essere felice per lui, nemmeno una visita di pochi minuti che gli desse la sicurezza di contare qualcosa per lui. Forse, con il senno di poi, però, non era vero che non gli importava nulla di lui. Dopotutto, quando era arrivato a casa, l'aveva accolto volentieri, con un sorriso sulle labbra, anche se stampato sulla faccia subito dopo l'espressione di sorpresa, proprio di chi non si aspetta una visita di quel tipo. Ma Frey era deciso. Non fece tanti preamboli. Semplicemente alla domanda che gli chiedeva cosa ci faceva da quelle parti, rispose:
- Ho bisogno di te. - Non gli diede nemmeno il tempo di chiedersi cosa intendeva. Semplicemente, Frey poggiò prima al pavimento una gabbia che teneva in mano, poi alzò lo sguardo che teneva come il suo solito verso il pavimento e guardò suo padre negli occhi. Lo sguardo era freddo, distaccato, come chi guarda una persona per cui prova qualcosa che varia lievemente tra l'indifferenza e il disprezzo. E il suo sguardo non fu l'unica cosa ad essere glaciale.
Immediatamente, battè le mani ed utilizzò la propria alchimia sul terreno, congelando al pavimento i piedi del padre, il quale, sorpreso e spaventato, lanciò un piccolo grido. Incurante, l'alchimista prese la gabbia e la poggiò a fianco del padre. Dall'interno, si poteva sentire un leggero sibilo, come di serpente. Poi, iniziò a tracciare un cerchio alchemico sul pavimento. Un cerchio di grandi dimensioni, che copiò sul momento da una pagina del libro. Intanto, il padre, ancora con espressione confusa e spaventata di chi non capisce che cosa sta succedendo, lo osservava. Volendo, forse, avrebbe potuto gridare aiuto, ma non l'aveva fatto. Perchè? Dentro di sè, Frey fece cadere la domanda nel vuoto. Era troppo doloroso rispondersi che suo padre dopotutto si fidava di lui.
Ma quando urlò, era già troppo tardi. Aveva già iniziato la trasmutazione, e probabilmente aveva capito che cosa stava succedendo. E fortunatamente, anche Frey ci mise poco a capirlo. La sua alchimia non stava lavorando a dovere. Era una sensazione strana, era come se ci stesse mettendo tutto se stesso durante la trasmutazione, ma sentiva che la materia che aveva "tra le mani" non accennava a cambiare forma. Era una sensazione mai provata prima. Difficile descriverla se non la si prova.
Ripensandoci, Frey ancora adesso sentiva nelle tempie quell'urlo. Un urlo agghiacciante, che non aveva niente a che fare con gli urli di dolore sentiti molte volte sui campi di battaglia in cui aveva avuto l'occasione di combattere. Era qualcosa di più. Forse non era solo dolore fisico. Forse si trattava anche di un altro dolore. Si asciugò con un gesto veloce le guance rigate dall'acqua che, sporadica e timida, scendeva lenta dagli occhi, seguendo un percorso irregolare.
La sua prontezza d'animo e il suo sangue freddo l'avevano salvato. O meglio, di sicuro avevano salvato suo padre. Ma nessuno può dire quali sarebbero state le conseguenze se avesse mantenuto il cerchio alchemico attivo anche solo per un secondo di più. Nella gabbia, nulla si muoveva più. In compenso, al posto del cerchio ora vi era un lago di sangue, a decretare quel che era successo. Non ce l'aveva fatta. E chi aveva pagato non era stato soltanto l'animale. Con orrore, vide suo padre che giaceva supino, agonizzante per terra. Entrambe le gambe erano sparite, come se fossero state mozzate con un machete e portate via, in un luogo che nessuno sa dire dove sia. Lo sguardo di quell'uomo che chiedeva pietà, il suo intero corpo scosso dai sussulti di dolore, i singhiozzi lacrimosi che venivano un po' dalla bocca e un po' dal cuore, il gesto della mano che si alzava lentamente verso il suo carnefice come a chiedere tregua, pietà aiuto, tutte queste cose lo tormentavano ormai da giorni, negli occhi della sua mente.

- Prossima fermata: North City. Prossima fermata: North City. -
La voce femminile ma semimeccanica che risuonò nel treno lo riscosse dai propri pensieri. Ripassandosi con forza la mano sulle guance e sugli occhi, come a volersi cancellare quell'espressione di dosso, si stiracchiò un momento sul sedile. Solo in quel momento vide, pochi sedili più distante, la signora elegante che lo guardava di sottecchi, preoccupata. Le rivolse un leggero sorriso, come a rassicurarla, quando in realtà non era in grado di rassicurare nemmeno se stesso. E come poche ore prima era salito su quel treno, preso in una stazione di campagna raggiunta dopo qualche girovagare senza meta predefinita, così scese da quello stesso treno subito dopo il fischio del capostazione, guardandosi intorno. La nebbia rimaneva, tutto intorno a lui, sembrava stringerlo in una morsa, ma senza forza o impeto. E nella nebbia, una scritta gli fu chiara non appena messo piede sul terreno, una scritta appesa al muro della stazione.
North City.
E quella era la certezza che la nebbia non riusciva a dissipare.
Il suo passato, oramai, era passato.
 
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Frey Nebord
view post Posted on 10/12/2008, 02:47




E dopo altri 3 giorni, la nebbia ancora non se ne era andata. O meglio, non è che vi era stato un banco di nebbia fitto da giorni e giorni: semplicemente, l'animo di Frey ancora era pieno di nebbia. E il fatto che quella sera la città fosse piena di foschia non contribuiva di certo a renderlo meno malinconico.
Era tardi. Probabilmente era da poco passata la mezzanotte. Frey non avrebbe saputo dirlo con certezza. Era fuori da qualche ora. C'era freddo. Non se ne importava più di tanto a dire il vero. Non faceva altro che camminare da quando aveva lasciato il suo appartamento. Avvolto nel suo cappotto nero pesante, guardava l'asfalto che pestava, mentre procedeva alla cieca in giro per North City. E la nebbia continuava ad accompagnarlo, dentro e fuori. Di tanto in tanto, tra i suoi pensieri, si affacciava la preoccupazione che riguardava quale sarebbe stata la sua salute domani. Tra freddo e umidità si sarebbe preso di certo un raffreddore coi fiocchi, se non qualcosa di più. Ma poi tornava al filo dei suoi pensieri, come se la salute fosse stata una cosa di importanza infima in quel momento, una preoccupazione che viene solo per un attimo, per distrarre, e che lascia il tempo che trova. Tempo burrascoso, senza dubbio.
Per il momento, si era arrangiato come poteva. Fortunatamente i risparmi che aveva ancora da parte gli permettevano di non avere problemi: ma per quanto ancora? Non erano risorse infinite, questo lo sapeva bene. Quei risparmi gli avevano permesso di alloggiare in qualche locanda poco trafficata appena fuori Central City. Le mance gli avevano permesso di sciogliere la lingua ai proprietari dei locali per avere informazioni discrete su come passare inosservato sotto l'occhio vigile dell'esercito, e raggiungere così lidi più sicuri come quello che aveva raggiunto ora. E sempre i soldi gli avevano permesso di prendere quel treno che l'aveva condotto fin lì. Non aveva informato nessuno di ciò che aveva fatto, di dove era andato, dei suoi progetti. Sia perchè sentiva di non potersi fidare di nessuno, sia perchè di progetti non ne aveva. E poi, per il momento, nemmeno gli interessava più di tanto frequentare qualcuno, avere conoscenze o altro. Anzi, poteva addirittura risultare dannoso. Per ora, stava meglio solitario.
Una volta a North City, non aveva avuto particolari problemi a trovare un appartamento ad un prezzo non eccessivamente elevato. Certo non era una villa, ma a dirla tutta nemmeno la voleva. Non sapeva se si sarebbe trattata di una sistemazione temporanea o no. Per questo aveva deciso di prendere la casa in affitto. Acquistarla sarebbe stata una follia al momento, e a dirla tutta quasi sicuramente non avrebbe potuto permetterselo.
E ora?
Non lo sapeva. Cercava di pensare razionalmente. Si chiedeva:
"Frey, qual è la prossima mossa?" ma non sapeva darsi una risposta. Nella partita a scacchi che era la sua vita, forse era una delle poche volte in cui non sapeva che pezzo muovere. Le troppe incertezze che lo avevano assalito nel giro di pochi giorni lo avevano sfiancato psicologicamente. Non si era mai sentito tanto stanco prima d'ora. Ma non era stanchezza fisica. Era stanchezza di ciò che gli stava accadendo intorno. Sentiva le cose sfuggirgli di mano, in una maniera mai provata prima. Aveva compiuto un errore, ok, ora, con il senno di poi, lo riconosceva. Ma davvero il suo mondo doveva distruggersi per colpa di una sciocchezza? Lo trovava inaccettabile. Niente di cui stupirsi. La ricerca di una seconda possibilità è connaturata all'uomo. La speranza di riscatto è una cosa comune ad ogni mentalità umana, ad ogni religione, a molti rapporti umani. E Frey sentiva di avere diritto, nel suo piccolo, ad una seconda possibilità, a potere ancora una volta ricominciare, per tentare di costruire il suo mondo di grandezza in cui lui poteva essere il numero uno.
Ma per il momento, non sapeva da che parte cominciare. Per essere il numero uno, serve farsi un nome da qualche parte. Ma dove? Di sicuro, non più tra i militari.
Ed era per questo che, qualche giorno fa, aveva compiuto un gesto forse strano a primo impatto, ma sensato, doveroso e corretto per Frey. Aveva ancora l'orologio degli Alchimisti di Stato, il simbolo dei cani dell'esercito, il potenziatore di ogni alchimia. Ma non era più uno strumento che gli doveva appartenere. Ok, doveva cominciare daccapo. Ma se proprio doveva farlo, tanto valeva ricominciare con le proprie forze. Niente aiuti, questa volta. Ma avrebbe voluto molto poter vedere la faccia di colui che, aprendo la posta mattutina giunta all'Accademia di North City, si sarebbe trovato davanti una grossa busta anonima con all'interno nientepopodimenochè il simbolo degli Alchimisti di Stato.
Ancora rimaneva l'incognita, però. Dove ricominciare. Dove iniziare a reagire. Se, dopo aver rinunciato alla regina, nella scacchiera conveniva muovere prima il pedone o la torre.
Un lampione al suo passaggio iniziò a malfunzionare, spegnendosi e poi riaccendendosi ad intermittenza, lasciando uno spiazzo di marciapiede su cui camminava a capo chino leggermente in penombra. Si fermò un attimo, a osservarlo, alzando gli occhi. Continuava a lottare per rimanere acceso, emanando anche un ronzio che si sentiva bene pure attraverso la nebbia. Era il lamento per la sopravvivenza. Il lampione non poteva scegliere se restare acceso o no. Doveva rimanere acceso, era così e basta. Poteva malfunzionare, poteva avere dei problemi, poteva avere un guasto: ma se un lampione è fatto per illuminare, la sua funzione nel mondo è e rimane quella, qualunque cosa gli accada. E il guasto capitato a Frey non doveva distogliere la sua attenzione da quello che doveva essere il suo obiettivo, il suo fine, quello per cui lottava e quello a cui aspirava da quando aveva memoria di se stesso. Secondo lui, era stato creato così. Il guasto di qualche giorno prima non importava nulla. Un lampione si può riaggiustare. E così la sua vita. Bastava solo trovare il cacciavite giusto.
E se Frey non poteva trovare l'attrezzo che gli serviva tra i militari, beh, avrebbe cercato dalla parte precisamente opposta. Sapeva quello che era diventato: un Ribelle. Un alchimista che abbandona lo stato, lo rifiuta, lo tradisce e lo rinnega per conseguire i propri fini. Beh, detto così sembrava una cosa un po' troppo negativa. Ma Frey non era in vena per le sottigliezze grammaticali o le scelte lessicali appropriate. Ancora una volta, la nebbia gli rendeva più importante il concetto piuttosto che i fronzoli. Sapeva che cosa era. Mentre si girava, imboccava una laterale che gli avrebbe permesso di arrivare a casa prima e ritornava con lo sguardo a terra, pensò che non gli rimaneva che diventare il migliore tra quelli che erano come lui. Non era semplice sopravvivenza. Chiamatela inclinazione naturale, chiamatela riuscita di sè stessi, chiamatela conseguimento di un proprio obiettivo. Stavolta, non si sarebbe permesso di andare ad intermittenza.
 
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