| Il treno sfrecciava nell'aperta campagna, fendendo una lieve nebbia che accennava ad opporsi allo sguardo, seppure non con decisione. Gli unici due vagoni del treno diretto a North City avevano pochissimi passeggeri: un anziano signore semiaddormentato sul sedile, una signora elegante con il suo marmocchio di circa 8 anni seduto a fianco, una giovane ragazza bionda dall'aria simpatica e un ragazzo altrettanto giovane con l'espressione corrucciata. Frey, dal suo posto finestrino, non si curava degli altri presenti. Il suo sguardo era perso fuori dal treno. Fin dalla partenza era stato incuriosito dallo strano effetto creato dalla nebbia, che faceva individuare sagome non ben definite di alberi e case sfreccianti. Non si potevano vedere i dettagli, ovviamente, ma solo il concetto. Si capiva cos'era, e basta, non era dato sapere altro. Beh, ben presto Frey si rese conto che si sentiva allo stesso modo. Aveva passato gli ultimi 3 giorni come un fuggiasco. Beh, no, forse definirlo fuggiasco era un'esagerazione, ma era così che si sentiva dentro. Aveva perso in pochi attimi quel che aveva accumulato in anni e anni di duro lavoro e di studio, e da allora si sentiva smarrito, perso, non sapeva che fare,d ove andare, dove sbattere la testa. Poteva camminare alla luce del sole, certo, ma il sentirsi continuamente come se avesse sulla testa un cartello con su scritto "Ricercato! Catturami e portami all'esercito se vuoi ricevere dei soldi!" non gli dava certo un senso di sicurezza. E ora, l'unica cosa che aveva di certo, era che non aveva più nulla. Che aveva perso la possibilità di scalare l'esercito, di diventare il più importante uomo militare che poteva esistere. Di diventare Comandante Supremo. Si era bruciato la sua unica possibilità, questo era il concetto che riusciva ad attraversare la nebbia di sentimenti contrastanti dentro di lui. Il come, il quando, il dove e il perchè rimanevano sfocati e indistinti, come cose lontane nel tempo e nello spazio, accadute chissà dove e chissà quando. Eppure, se si concentrava un attimo, non gli risultava poi così difficile ricordare l'urlo straziante di suo padre, il cadavere del serpente, il sangue sparso ovunque sul pavimento... Era successo tutto in un modo quasi istantaneo, come se la sua mente non avesse atteso altro per tutta la vita. Gli era bastato terminare quel tomo sulla trasmutazione umana per essere convinto di sapere tutto sull'argomento. E qualcosa era scattato nella sua mente. Doveva provare. Doveva verificare con i propri occhi, anzi, con la propria alchimia, se era fattibile quanto aveva letto. Nella sua testa, non importava altro. Ma su chi poteva provare? Di certo nessuno si sarebbe offerto di propria spontanea volontà mettendo un annuncio sul giornale! No, avrebbe dovuto usare la persuasione, o al massimo la forza. Scelse la seconda. E scelse suo padre. Non aveva neppure avuto bisogno di pensarci poi tanto: nel giro di qualche minuto, era già sulla strada per casa sua, il tomo sottobraccio e una gran voglia di vendetta. Beh, definirla vendetta forse sarebbe stato improprio. Non era propriamente vendetta. Era desiderio di mostrare a colui che l'aveva ostacolato anche in quello che era il suo più grande sogno che sì, ce l'aveva fatta, non aveva avuto bisogno di lui, era diventato bravo, era diventato Alchimista di Stato, era chiamato The Stone-Cold Alchemist, era Tenente, era una figura di spicco, ricopriva un ruolo che era per pochi, un ruolo di cui andare orgogliosi, di cui suo padre stesso avrebbe dovuto essere orgoglioso, di cui qualunque padre avrebbe dovuto essere orgoglioso. E lui no. Alla sua promozione, nemmeno un telegramma di congratulazioni, nemmeno una lettera che gli diceva di essere felice per lui, nemmeno una visita di pochi minuti che gli desse la sicurezza di contare qualcosa per lui. Forse, con il senno di poi, però, non era vero che non gli importava nulla di lui. Dopotutto, quando era arrivato a casa, l'aveva accolto volentieri, con un sorriso sulle labbra, anche se stampato sulla faccia subito dopo l'espressione di sorpresa, proprio di chi non si aspetta una visita di quel tipo. Ma Frey era deciso. Non fece tanti preamboli. Semplicemente alla domanda che gli chiedeva cosa ci faceva da quelle parti, rispose: - Ho bisogno di te. - Non gli diede nemmeno il tempo di chiedersi cosa intendeva. Semplicemente, Frey poggiò prima al pavimento una gabbia che teneva in mano, poi alzò lo sguardo che teneva come il suo solito verso il pavimento e guardò suo padre negli occhi. Lo sguardo era freddo, distaccato, come chi guarda una persona per cui prova qualcosa che varia lievemente tra l'indifferenza e il disprezzo. E il suo sguardo non fu l'unica cosa ad essere glaciale. Immediatamente, battè le mani ed utilizzò la propria alchimia sul terreno, congelando al pavimento i piedi del padre, il quale, sorpreso e spaventato, lanciò un piccolo grido. Incurante, l'alchimista prese la gabbia e la poggiò a fianco del padre. Dall'interno, si poteva sentire un leggero sibilo, come di serpente. Poi, iniziò a tracciare un cerchio alchemico sul pavimento. Un cerchio di grandi dimensioni, che copiò sul momento da una pagina del libro. Intanto, il padre, ancora con espressione confusa e spaventata di chi non capisce che cosa sta succedendo, lo osservava. Volendo, forse, avrebbe potuto gridare aiuto, ma non l'aveva fatto. Perchè? Dentro di sè, Frey fece cadere la domanda nel vuoto. Era troppo doloroso rispondersi che suo padre dopotutto si fidava di lui. Ma quando urlò, era già troppo tardi. Aveva già iniziato la trasmutazione, e probabilmente aveva capito che cosa stava succedendo. E fortunatamente, anche Frey ci mise poco a capirlo. La sua alchimia non stava lavorando a dovere. Era una sensazione strana, era come se ci stesse mettendo tutto se stesso durante la trasmutazione, ma sentiva che la materia che aveva "tra le mani" non accennava a cambiare forma. Era una sensazione mai provata prima. Difficile descriverla se non la si prova. Ripensandoci, Frey ancora adesso sentiva nelle tempie quell'urlo. Un urlo agghiacciante, che non aveva niente a che fare con gli urli di dolore sentiti molte volte sui campi di battaglia in cui aveva avuto l'occasione di combattere. Era qualcosa di più. Forse non era solo dolore fisico. Forse si trattava anche di un altro dolore. Si asciugò con un gesto veloce le guance rigate dall'acqua che, sporadica e timida, scendeva lenta dagli occhi, seguendo un percorso irregolare. La sua prontezza d'animo e il suo sangue freddo l'avevano salvato. O meglio, di sicuro avevano salvato suo padre. Ma nessuno può dire quali sarebbero state le conseguenze se avesse mantenuto il cerchio alchemico attivo anche solo per un secondo di più. Nella gabbia, nulla si muoveva più. In compenso, al posto del cerchio ora vi era un lago di sangue, a decretare quel che era successo. Non ce l'aveva fatta. E chi aveva pagato non era stato soltanto l'animale. Con orrore, vide suo padre che giaceva supino, agonizzante per terra. Entrambe le gambe erano sparite, come se fossero state mozzate con un machete e portate via, in un luogo che nessuno sa dire dove sia. Lo sguardo di quell'uomo che chiedeva pietà, il suo intero corpo scosso dai sussulti di dolore, i singhiozzi lacrimosi che venivano un po' dalla bocca e un po' dal cuore, il gesto della mano che si alzava lentamente verso il suo carnefice come a chiedere tregua, pietà aiuto, tutte queste cose lo tormentavano ormai da giorni, negli occhi della sua mente. - Prossima fermata: North City. Prossima fermata: North City. - La voce femminile ma semimeccanica che risuonò nel treno lo riscosse dai propri pensieri. Ripassandosi con forza la mano sulle guance e sugli occhi, come a volersi cancellare quell'espressione di dosso, si stiracchiò un momento sul sedile. Solo in quel momento vide, pochi sedili più distante, la signora elegante che lo guardava di sottecchi, preoccupata. Le rivolse un leggero sorriso, come a rassicurarla, quando in realtà non era in grado di rassicurare nemmeno se stesso. E come poche ore prima era salito su quel treno, preso in una stazione di campagna raggiunta dopo qualche girovagare senza meta predefinita, così scese da quello stesso treno subito dopo il fischio del capostazione, guardandosi intorno. La nebbia rimaneva, tutto intorno a lui, sembrava stringerlo in una morsa, ma senza forza o impeto. E nella nebbia, una scritta gli fu chiara non appena messo piede sul terreno, una scritta appesa al muro della stazione. North City. E quella era la certezza che la nebbia non riusciva a dissipare. Il suo passato, oramai, era passato.
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