| E d w a r d~ |
| | Sprofondò su una superficie vitrea che l’avrebbe condotto al sito della città. Difficile spiegare ciò ch’ei provò. Tutt’un travaglio interiore che precedeva la battaglia. Il corpo lentamente spariva attraverso il fogliame che copriva la città. Lentamente di quella manifestazione di pazzia, follia, crudeltà e malvagità vivente non rimase che il ricordo fresco nelle menti delle sue vittime. La figura sinuosa sopravestita di nero si moveva elegante m’al tempo stesso irruente, la sua stessa esistenza era data dalla contrapposizione netta e costante di due fattori –l' essere stato un umano come tutti gli altri ed essere ora una creatura senza scopo. Dopodichè, il Nulla. Una strana sensazione lo avvolse, i sentimenti che da sempre lo rappresentavano andavano via via intensificandosi mentre del corpo non rimaneva più nulla. Quasi non fosse mai esistito. L’attraversare la vitrea superficie lo condusse in un lungo sentiero nero, ottenebrato dal Nulla stesso, in cui non si vedeva filo di luce, d’uscita. Ma –come forse c’era d’aspettarsi in un individuo simile- ei non provò affatto timore, tutt’al più Divertimento! Ogni singolo incontro, ogni singola parola, ogni singolo fattore di quella manifestazione di potenza –cos’altro non era infondo il tanto citato Giorno degli Alchimisti?- trasmetteva entusiasmo quasi sinistro alla creatura, che ne traeva sempre più divertimento per l’avvenire successivo sempre incerto e dubbioso. Ancora era frastornato al pensiero di chi fosse il suo avversario, o meglio, vittima. Ma come un fulmine –veloce e guizzante- gli trapassò la visione di quell’Individuo… Quando fece il proprio ingresso in uno spiazzo senza arbusti intraviste un individuo che il solo guardare trasmetteva un brivido d’eccitazione. Il lungo sentiero nero sembrava interminabile, esso rappresentava l’attesa che era costretto a patire carico di pregustazione. Non vedeva l’ora di sfoggiare la sua forza, non vedeva l’ora di uccidere l' individuo che poteva scorgere da lontano, non vedeva l’ora di smembrare il corpo nemico finché non sarebbe rimasto che poco più di ceneri. Gli occhi naturalmente senza vita erano fulgidi, la ragione inesistente. Dopodichè, la Gioia. Quanto più lunga era l’attesa, quanto più sarebbe stato il divertimento acquisito da quel massacro. La pazienza veniva sempre premiata -solevano dire alcuni uomini. Ma finalmente, ecco che uno spiraglio di luce molto fioca venne a palesarsi. Infondo al nero tunnel –a parvenza privo d’uscita- ecco che quella luce fioca sembrava divenire via via più intensa e forte! Sembrava addirittura accecare i poveri occhi tanto cullati dalla notte et tenebra assoluta. All’infuori di questo –però- ciò che pervase Zoriah fu Gioia Pura. Oltre quella luce sarebbe cominciato lo scontro, se si poteva definire tale. Le Vere Danze erano oramai iniziate, e non rimaneva che combattere con il sangue e con il ferro per sopravvivere. Infondo era questo il bello, no? Mettere in gioco le proprie vite, affidando le speranze di sopravvivenza ad una semplice quanto fragile arma. Il rischio, la sconfitta, la vittoria, la gioia, il dolore, tutto ciò faceva parte di un Duello. La luce divenne totale. Delle tenebre che a lungo –per un tempo quasi interminabile- lo avevano cullato non rimase più nulla. Al termine del corridoio –in fondo in fondo- ecco apparire un’altra superficie vitrea che avrebbe permesso il trasporto da un sito ad un altro. Con impeto oltrepassò la superficie vitrea, consentendo che da essa permeasse tutto il proprio corpo. Beandosi della sensazione d’inebriazione ottenuta. Dall’altra parte… ecco che giungeva. Maestoso, atteso, lodato. Nello spazio vuoto dell’altra parte si poteva notare che un essere, umano o alchimista stava giungendo, ma il Maestro dell’Oscurità non si limitava ad uscire fuori dalla vitrea superficie –come se essa non fosse solida bensì liquida come l’acqua cristallina- ma addirittura a spezzarla. Irruente, distrusse quella superficie a metà tra il solido ed il liquido, e la sua figura nera piombò su quello spiazzo come un fulmine a ciel sereno, giungendo con tutta la follia covata in tragitto ch’esplose, atterrando su un verdeggiante prato fresco ed umido per via della temperatura mite. Piccole gocce d’acqua rugiada tingevano i singoli fili d’erba piccoli e sottili. Teneva uno sguardo folle –che a persona normale avrebbe facilmente trasmesso terrore- con gli occhi rossi dalle orbite. La pelle pallida come la luna su uno sfondo nero, le labbra deformate in un sorriso storpiante, talmente pronunciato da scavare nelle gote delle fosse marcate. I capelli assolutamente neri erano sotto l’influsso dell’aeree che leggiadro spirava in sua direzione, dandogli sostegno e velocità in qualsivoglia movenza; essi erano sottili come i fili d’erba, e scuri come il sangue di un umano. Vestiva con un’elegante giacca nera –la stessa che teneva sempre in quei momenti- il cui tessuto era tra i più pregiati, ovvero garbadi di seta; sotto di essa un magnifico quanto semplice giubbotto di pelle, visibile solo all’altezza del collo poiché la giacca era tenuta chiusa dai bottoni decorati in oro e –in minor parte- d’argento; come soprabito teneva –sbottonato- un cappotto rosso di cachemire con alle maniche bottoni in zaffiro; pantaloni di seta neri scendevano fino alle caviglie –eleganti- da dove cominciavano delle scarpe provviste di tacco, il cui cuoio era nero e semplice. Infine le mani erano agguantate, guanti bianchi come la neve. Sulla superficie del tessuto un cerchio runico che permettevano l’affluire dell’Alchimia senza ricorrere –per ogni singolo caso- al tracciamento dei cerchi alchemici su superfici solide. Lui non ne avrebbe usufruito, non essendo lui in grado di praticarla, avrebbe vinto soltanto con le sue mani, le sue tecniche e la sua determinazione. Facendo forza sulle robuste braccia, ei si issò in piedi, scrutando l’orizzonte. Prima ancora che gli occhi abbagliati dalla luce dell’uscita potessero mettere a fuoco il paesaggio, già alle narici arrivavano una mescolanza di profumi ed odori… con il senso dell’olfatto riusciva a distinguere numerosi fiori di quel grande spettacolo floreale. Ortensie e margherite si stendevano su un giardino d’infiniti profumi, svettanti alberi di ciliegio con i loro coloriti rosastri che portavano alla mente la primavera in tutte le sue delicate sfumature. Era il momento, il suo avversario si mostrò, ne aveva sentito la presenza sin da lontano portandolo in quel luogo la cui superficie vitrea intralciava i movimenti. Non i suoi, ma quelli dell' alchimista che aveva di fronte. Senza ch' egli potesse raggiungere il cerchio runico Zoriah lo colpì, squartando la sua carne con le sue stesse mani e i suoi stessi denti. Sperava che il combattimento sarebbe potuto durare di più, ma non fu cosi. Provò comunque piacere nel lacerare le sue carni, e quando, come per un gesto di disprezzo se ne cibò fu sazio. Per quell' oggi non avrebbe più ucciso, il suo trofeo aveva ormai guadagnato. Il momento di ripartire arrivò, North City era ancora lontana e lui doveva assolutamente andarci per sterminare tutti gli alchimisti dato il profondo senso di gioia che gli recavano una volta uccisi. Quella sarebbe stata la sua ultima ragione di vita, dopo la quale, avrebbe potuto finirla. Si diresse verso nord, uscendo da quel territorio, e, a passo veloce entro la sera riuscì a vedere, la città. Prima di entrarvi avrebbe riposato li per la notte, alcun pericolo correva, non avrebbe dormito ne mangiato, sazio era e sazio sarebbe rimasto sino all' indomani mattina. | Edited by ^Edward^ - 2/5/2008, 08:03
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